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La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Art. 4 della costituzione italiana]
Intanto l’assemblea Fininvest il 2 dicembre 1977 aveva deliberato un «finanziamento soci» di 16,43 miliardi (oggi sarebbero un centinaio). In realtà il denaro arriva in 25 piccole tranche, in un periodo di 17 mesi, dal 28 febbraio 1977 al 2 agosto 1978. Nessuna carta spiega la provenienza delle somme. Si sa soltanto che, dopo qualche tempo, la società restituisce quel finanziamento, attraverso assegni Banca Popolare di Abbiategrasso firmati da Giancarlo Foscale, girati in bianco da Servizio Italia e consegnati nelle mani di Giovanni Dal Santo, un uomo che compare in tanti passaggi importanti della Sua storia finanziaria. Poi partono le quattro operazioni che permettono di portare il capitale Fininvest a 52 miliardi. Il 7 dicembre 1978 è il giorno di un «giro finanziario chiuso» (ce ne sono almeno sei in questo periodo) che fa partire ben 17,98 miliardi da un ordinante sconosciuto. Questi vanno alla Fininvest «milanese», poi si dividono tra Saf e Servizio Italia, si riuniscono sui conti di zio Luigi Foscale, passano a Lei, poi alla Saf, indi alle Holding 1-19, infine alla Fininvest Roma, per poi tornare allo sconosciuto iniziale. È un giro contabile a somma zero: soldi veri non ne girano. Ma, nel circolo contabile, le fiduciarie Saf e Servizio Italia vengono rimborsate da Fininvest del finanziamento soci di 16,43 miliardi, li passano al loro rappresentante Foscale, che li dà al proprietario, cioè a Lei, che li integra con una piccola somma (540 milioni) e poi li passa alle Holding, le quali con quei soldi sottoscrivono l’aumento di capitale di 17,98 miliardi della Fininvest Roma (che, essendo una srl, può ritoccare il capitale senza l’autorizzazione del Tesoro). È l’aumento che serve ad arrivare, come abbiamo visto, ai 18 miliardi. Gli unici soldi veri che entrano nel circolo sono i 540 milioni messi da Lei di tasca Sua. Dopo la fusione tra le due Fininvest, dunque, entrano in campo le Holding. Queste, a dispetto del nome altisonante, sono semplici srl (società a responsabilità limitata): così gli aumenti di capitale si possono fare in casa, senza intrusi che vogliano guardare le carte. Sono fondate il 19 giugno 1978 a Milano da Nicla Crocitto, un’anziana casalinga abitante a Milano 2, che detiene il 90 per cento delle quote e viene nominata amministratore unico delle società, mentre il restante 10 per cento è intestato al marito, il commercialista Armando Minna, già sindaco della Banca Rasini e poi Suo consulente. Capitale sociale: il minimo, 20 milioni per Holding. Tra il 4 e il 5 dicembre 1978 escono di scena i due prestanome iniziali delle Holding e arrivano, al loro posto, due fiduciarie: Saf e Parmafid. Tra il 29 giugno e il 19 dicembre 1979 alle Holding vengono compiuti robusti conferimenti, per 26 miliardi. Alla fine, il capitale sociale della Fininvest (52 miliardi) è quasi interamente controllato dalle 23 Holding (per 49,98 miliardi), tranne una piccola quota (2,02 miliardi) direttamente nelle Sue mani. Di chi sono le Holding? Mie, ha sempre risposto, anche se Lei non ha mai potuto spiegare in maniera del tutto convincente il perché di una struttura societaria tanto complicata. Accanto a 38 Holding, oltretutto, ci sono cinque Holdifin, più una Holding Elite. La moltiplicazione delle Holding serve, di nuovo, a realizzare aumenti di capitale senza che il Tesoro e la Banca d’Italia si mettano a curiosare nelle cose del Suo gruppo: se ciascuna può avere un capitale di 2 miliardi, ecco che, essendo almeno 22 o 23, il capitale può essere moltiplicato per 22 o 23 volte. Il punto è che il pagamento delle quote, comunque, avviene in contanti e dunque anche questa volta non resta alcuna traccia della provenienza di denaro. Tra il 1978 e il 1985 nelle Holding entrano 93,93 miliardi (oggi sarebbero oltre 340). Il fatidico 7 dicembre 1978, come abbiamo visto, le Holding 1-18 aumentano il capitale da 20 milioni a 1 miliardo l’una, con un afflusso di 17,98 miliardi. Nuovo amministratore unico diventa Luigi Foscale, mentre Giovanni Dal Santo è nominato sindaco. Chi versa le quote? Il fiduciante, cioè Lei, dicono le carte, ma «non risulta alcuna evidenza del movimento contabile». Il 21 marzo 1979, primo giorno di primavera, avviene un’operazione che ha per protagonista Dal Santo. La società Coriasco, controllata dalla fiduciaria Saf su mandato di Luigi Foscale, attua un aumento di capitale di 2 miliardi di lire. La transazione avviene, anche questa volta, «franco valuta»: quel giorno è Dal Santo che, con una telefonata, dà ordine alla Saf di sottoscrivere l’aumento di capitale e fa pervenire alla fiduciaria (come risulta dagli appunti rintracciati nella sede della Saf) 2 miliardi in contanti, che poi vengono versati alla Cariplo e alla Banca Popolare di Novara, in cambio di due assegni circolari per 2 miliardi. La Saf li gira alla Coriasco, che così ufficialmente ha aumentato il suo capitale attraverso l’ingresso di due assegni, anche se in realtà l’operazione è avvenuta per contanti: Dal Santo, il primo giorno di primavera del 1979, attraverso Coriasco ha riciclato 2 miliardi di lire di cui si ignora la provenienza. Il 29 giugno 1979 nelle Holding entrano 6 miliardi, per l’aumento di capitale delle Holding 1-6. Arrivano da due fonti: 4,8 miliardi da un soggetto non identificato; e 1,2 miliardi dalla Fiduciaria Padana (una società riconducibile al gruppo Berlusconi) che li riceve da Fininvest Roma in cambio di tre società fiduciariamente gestite da Riccardo Maltempo (un prestanome che lavorava in un’officina meccanica) e rappresentate da Giovanni Dal Santo. Il 4 ottobre 1979 scatta l’operazione Ponte: arrivano 11 miliardi alle Holding 7-17, come prestito obbligazionario. I soldi partono dalla Ponte srl, passano per Saf, Holding 7-17, Fininvest, Italiana Centro Ingrosso srl, e con cinque giroconti ritornano alla società Ponte, rappresentata da Enrico Porrà, un invalido di 75 anni colpito da ictus. Porrà risulta essere il titolare di altre sei o sette società, tra cui la Palina srl, una società fondata il 19 ottobre 1979 da lui e da Adriana Maranelli, una colf emiliana: altri prestanome, come il meccanico Maltempo, come la casalinga Crocitto... Porrà, quando c’è da firmare qualche documento, va dal notaio su una carrozzella spinta dai Suoi consulenti. Maranelli invece, contattata nel 2000 dai giornalisti del settimanale L’Espresso, ha dichiarato: «Fu la signora Itala Pala, presso cui ero a servizio, a chiedermi di firmare quelle carte nello studio del suo amico, il ragionier Marzorati, un consulente di Berlusconi. Mi dissero che non c’era niente di illecito e mi pagarono per farlo». Presso l’abitazione della signora Pala erano domiciliate molte società, tra cui, appunto, la Ponte e la Palina (in onore alla padrona di casa?). Proprio la Palina il 19 dicembre 1979 è al centro di una delle operazioni più misteriose e ricche della storia berlusconiana. Quel giorno infatti Palina versa 27,68 miliardi di lire (oggi sarebbero circa 120 miliardi) alla Saf, che li trasferisce alle Holding 1-5 e 18-23, che li passano alla Finivest, che li paracaduta alla Milano 3 srl, che li restituisce alla Palina. Un giro completo, e apparentemente vizioso. Con quale scopo? Anche in questo caso, è un circolo contabile chiuso. Rispetto ad altre operazioni circolari (quella del 7 dicembre 1978, quella della Ponte...), l’operazione Palina ha però una particolarità: abbiamo a disposizione qualche informazione in più. Sappiamo che i 27,68 miliardi dati alla Palina dalla Milano 3 risultano essere il pagamento di 2 mila azioni della Cantieri Riuniti Milanesi, amministrata da Marcello Dell’Utri. Una bella cifra, se si pensa che quelle stesse azioni erano state pagate dalla Palina, poche settimane prima, soltanto 4,26 miliardi: in pochi giorni, una gigantesca plusvalenza fatta in casa. Le azioni erano state acquisite in parte (400 mila azioni) dall’Unione Fiduciaria, in parte (800 mila azioni) da una fiduciaria di nome Siraf, in parte (altre 800 mila azioni) da Anna Maria Casati Stampa, la marchesina che Le aveva venduto, grazie ai buoni uffici di Cesare Previti, la villa San Martino di Arcore e grandi terreni a Cusago. Proprio per quei terreni, la marchesina era stata pagata con le azioni della Cantieri Riuniti e, quando aveva chiesto di essere liquidata, nel novembre 1979, Palina le aveva pagato 1,7 miliardi di lire e poi aveva girato quelle azioni, insieme alle altre acquisite dalla Siraf e (per 860 milioni) dall’Unione Fiduciaria, alla Milano 3, realizzando una prodigiosa moltiplicazione del loro valore, almeno sulla carta. Non ci sono sicurezze su chi ci sia dietro la Siraf, né dietro l’Unione Fiduciaria, società delle Banche Popolari. Si sa soltanto che i fissati bollati siglati da Giorgio Bergamasco, il tutore della marchesina Casati Stampa, fanno riferimento a passaggi d’azioni per 2,56 miliardi: la somma di quanto pagato ufficialmente alla marchesina più quanto dato all’Unione Fiduciaria. Ciò apre un’ipotesi: se anche le azioni vendute dall’Unione Fiduciaria fossero della marchesina, il pagamento reale dei terreni di Cusago sarebbe un po’ meno giugulatorio di quello che appare, perché ci sarebbe un’aggiunta di «nero». L’alternativa è che Anna Maria Casati Stampa, nelle mani del tutore ufficiale Giorgio Bergamasco e del tutore di fatto Cesare Previti, sia stata truffata. Come accadrà con la Sua Villa di Arcore, pagata soltanto 500 milioni: a meno che anche qui non ci fosse una consistente parte in nero. Tra il Natale 1979 e il Capodanno 1980 dalle Holding arrivano alla Fininvest altri 25 miliardi di lire (dell’epoca). Di questi, 4,3 miliardi sono versati da Lei in persona alla Saf, il resto non ha nome. [continua]